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Particolare del volto |
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I Simboli iconografici,palma e ancora, sorretti dagli angeli in piombo situati alla basedel busto argenteo. |
1.San Cesario nacque , nell'africa settentrionale , precisamente a Cartagine verso l'84 d.c.
Figlio di un mercenario e di una nobildonna, appartenenti alla “Gens Julia”,
che decisero di chiamarlo Cesario per dimostrare la loro devozione
all’imperatore Cesare. I suoi avi si stanziarono a Cartagine durante la
riorganizzazione dei territori africani da parte di Giulio Cesare, il quale
proprio in quella città fondò una colonia romana in cui si erano trasferiti dei
cittadini romani alleati con la madrepatria e quindi sotto il controllo di Roma.
Il bimbo, essendo figlio unico, aveva diritto ad una vistosa eredità.
La sua famiglia si convertì al cristianesimo per la fervente predicazione
degli apostoli di Gesù nella zona.
Il giovane Cesario, dopo aver compreso i contenuti della dottrina cristiana,
rimase molto affascinato dalla figura di Gesù e dal suo messaggio di salvezza.
Volendo diventare tutt’uno con Cristo, prese il voto del diaconato: il suo
compito era quello di essere un servitore della Parola di Dio, della mensa dei
poveri e quella eucaristica ma soprattutto imperniare la sua opera sulla
formazione di comunità cristiane nelle quali tutti dovevano dimorare nell’amore
e nella libertà. Sorretto da questa fede, con grande meraviglia dei suoi
genitori, rinunziò al suo patrimonio e si dedicò all’evangelizzazione. Superata
l’adolescenza, Cesario decise di partire, con i suoi compagni, per la volta di
Roma dove il cristianesimo era una religione illecita punibile con le massime
pene. La nave tuttavia naufragò sulle coste di Terracina, una città situata
nell'agro pontino, a causa della presenza minacciosa di temporali e fulmini. Il
giorno successivo, allo spuntare dell’alba, tutti si misero in cammino per
raggiungere velocemente Roma, percorrendo la via Appia, ma Cesario decise di
rimare in questa città in quanto fu attratto dalla bellezza del luogo ma
soprattutto impressionato dal divario tra ricchi e poveri: i malati, gli
oppressi e i moribondi erano lasciati ai margini della città mentre al suo
interno la nobiltà viveva nel lusso più sfrenato. Decise di curare gli infermi
perché nel loro viso vedeva il ritratto di Dio, insieme ad un prete di nome
Giuliano che poi divenne suo maestro e suo più grande amico: essi furono accolti
nella comunità cristiana formata da Epafrodito che la tradizione vuole primo
vescovo di Terracina. In quel periodo rifulse l’esempio coraggioso di Domitilla,
nipote dell'imperatore Vespasiano, che convertita al cristianesimo dai suoi
servitori Nereo ed Achilleo, decise di conservare lo stato virginale e di
rifiutarsi di sacrificare agli dei ma queste azioni gli costarono il martirio:
fu arsa viva nella sua casa di Terracina dove risiedeva con altre due vergini,
Teodora ed Eufrosina. Cesario, il giorno successivo, si recò nella loro stanza
ed accertò la loro morte ma rimase sbigottito in quanto le vergini erano in
posizione genuflessa in segno di preghiera ed adorazione ed i loro corpi non
erano stati bruciati dal fuoco; fu aiutato da altri cristiani a prelevare le
spoglie dando loro degna sepoltura.
Quell’anno Marco Ulpio Nerva Traiano era imperatore romano, Leonzio console
di Fondi e Lussurio primo cittadino di Terracina. Era consuetudine celebrare, il
primo gennaio, una festa in onore di Apollo in cui il giovane più bello della
città doveva sacrificarsi per la salvezza dello Stato; in questo modo veniva
immolato un uomo alla divinità per propiziarsene i favori e per invocare il suo
sostegno.
L’anno precedente era stato scelto un giovane di nome Luciano, il quale era
trattato con ogni cura ed esaudito in tutti i suoi desideri per quasi 8 mesi, a
spese dei devoti del popolo, solo se l’anno successivo si fosse ornato di
magnifiche armi e condotto a cavallo su un monte, chiamato dai locali “Pisco
Montano”, dal quale doveva gettarsi nel sottostante precipizio. Il cavallo,
probabilmente, veniva marchiato con una lancia arroventata dal fuoco:
quest’ultimo dal grandissimo dolore si precipitava dalla rupe facendo schiantare
anche il ragazzo che veniva legato con lui. Arrivato il giorno stabilito per la
cerimonia, Cesario vide il giovane Luciano che offriva in sacrificio una scrofa
nel tempio di Apollo, circondato dalle autorità, dai sacerdoti pagani e dai
presenti; successivamente iniziava la processione che si snodava per le vie
principali della città per concludersi sul monte. Cesario e Giuliano decisero di
seguire il corteo in quanto volevano assistere alle varie fasi della pratica
idolatra e dopo aver chiesto alla folla cosa stesse succedendo e a sapere la
storia della tradizione impartita dai loro antenati, entrambi corsero
incessantemente per arrivare al tempio prima dell’inizio del rito, nella
speranza di bloccare in tempo il sacrificio e di riuscire a salvare la vita del
giovane. Arrivati sulla cima del monte, Cesario fece un discorso che cambiò per
sempre la mentalità dei terracinesi: “Sventura ai principi e alla repubblica che
si rallegrano delle sofferenze e si nutrono di sangue; la vita è sacra ed è una
sola,non si può togliere né nel nome di un Dio, né dell’amore, dei soldi e della
giustizia. Nessun uomo può uccidere ed uccidersi perché nessun dio dona la vita
per chiederla, successivamente, in sacrificio a se stesso. Tutti gli esseri
viventi, senza distinzione alcuna, meritano rispetto e dignità in quanto sono il
riflesso dell’immagine del vero Dio sulla terra, il quale possiede un cuore di
carne e non di marmo come la vostra statua di Apollo; il mio Dio ha orecchie per
poter sentire il suo popolo che cerca protezione e libertà eterna”. Cesario
venne bloccato dalle guardie di Terracina mentre Luciano si precipitò dalla rupe
andandosi a schiantare sulle rocce per morire tra le onde del mare
sottostante.
Il suo corpo fu ripescato, lasciato in adorazione per un giorno intero e
successivamente bruciato; le sue “ceneri” vennero conservate in un’urna e
deposte nel grande tempio dedicato ad Apollo.
Firmino, il pontefice incaricato al sacrificio umano, ordinò di incarcerare
Cesario e di portarlo nella prigione cittadina nella quale venne introdotto
insieme a Giuliano in una grande cella, gelida ed inumana, dove vi erano
malviventi e balordi che li picchiavano per il loro marchio di “Cristiani”.
Cesario vide Cristo in quei malviventi ma era celato in quanto completamente
sconosciuto, quindi decise di parlare della figura di Gesù nel mondo e del suo
messaggio: anche qui continuò la sua opera evangelica con i detenuti che
chiesero di essere battezzati. Trascorsi otto giorni, il console Leonzio iniziò
il processo: fece trasportare Cesario dalla prigione al Foro Emiliano, la
pubblica piazza, per procedere al riconoscimento e all’interrogatorio in quanto
era accusato di lesa maestà, vilipendio della religione di Stato e di aver
interrotto una cerimonia sacra. Cesario, digiuno da circa 3 giorni, rispose di
essere un umile servo di Gesù di Nazareth, un diacono peccatore e di non aver
paura delle sue minacce per indurlo alla conversione e rinnegare la sua fede
cristiana. Il console, per tutta risposta, decise di obbligarlo a sacrificare al
dio Apollo: ordinò alle guardie di legarlo al suo cocchio per condurlo al tempio
dove tutti aspettano con ansia il momento di abnegazione del suo Dio cristiano.
Cesario si genuflesse, mormorò una preghiera e all’istante il tempio crollò,
sotto le cui rovine morì Firmino. A seguito di ciò, il console decise, d’accordo
con Lussurio, di far camminare Cesario nudo e carico di catene per le vie della
città; in questo modo voleva vendicarsi della morte di Firmino, convinto che
tutto fosse opera di magia. Trascorso un anno, Leonzio fece di nuovo condurre
Cesario nel foro ma questa volta rimase molto affascinato dal nimbo di luce che
lo avvolgeva: chiese di convertirsi ad cristianesimo perché aveva dubitato dei
loro falsi dei e voleva conoscere il Figlio di Dio che si era fatto uomo per
compiere l'opera della redenzione umana. Dopo essere stato battezzato dal
diacono Cesario ed aver ricevuto i sacramenti dal presbitero Giuliano, il
console Leonzio morì la stessa notte e fu sepolto nell’Agro Varano, fuori la
città di Terracina. Prese posto Lussurio che fece torturare il giovane diacono,
per 13 giorni, con ogni tipo di supplizio ed il 1° novembre del 107 d.C.
condannò Cesario e Giuliano alla pena dei “parricidi”: ai condannati vennero
legati le mani ed i piedi, introdotti in un sacco appesantito da pietre e furono
gettati dall’alto della guglia di “Pisco Montano” nel mare; così i due morirono
per soffocamento. Recenti studi confermano la tradizione agiografica e
iconografica: il Santo fu martirizzato quando era un giovane adulto con età
compresa tra i 18 e i 22 anni. Prima di morire, Cesario predisse a Lussurio che
il giorno successivo sarebbe stato morso da un serpente. Allora il primo
cittadino, timoroso della profezia, si fece scortare dalle guardie ma mentre
stava ritornando in una delle sue ville di Roma, dalla sua famiglia, da un
albero si lanciò una vipera che con un morso alla gola gli penetrò fino al cuore
iniettando il veleno nel suo corpo; il carnefice chiese perdono al martire e
morì. Il cielo si aprì, le nuvole si vaporizzarono, la notte si celò per far
brillare il sole e spuntò l’arcobaleno: gli angeli aprirono il sacco per
coronare il Santo e Dio ricevette il Diacono Cesario in gloria “suo Servo e
martire per la sua fede”.
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2.I festeggiamenti in onore del Santo Patrono, San Cesario Diacono e Martire, si svolgono nella quarta domenica di Luglio, giorno in cui si ricorda la traslazione della Santa Reliquia dal Palazzo Ducale alla Chiesa Matrice, avvenuta nel 1724.
La festa "ranne"(grande, la principale) e' l'espressione del sodalizio sacro e laico, essa coniuga i due poli del potere: quello civile, un tempo rappresentato dai signori locali, i Duchi Marulli, oggi del Comune, e quello religioso, espressione della devozione verso il proprio Santo Patrono.
La storia paesana annovera due altri festeggiamenti in onore del Santo che precedono questo della traslazione.
Un tempo , si portavano in processione oltre al Santo e alla Copatrona (la Madonna del Carmine) tutti i Santi che riscuotevano maggior devozione , tutte le varie comunità e confraternite, portavano, il giorno che precedeva l'inizio della Novena, i Simulacri in Chiesa Madre e restavano fino a dopo i festeggiamenti . Il giorno della festa si facevano 2 processioni , la prima si faceva la sera dopo la messa vespertina della vigilia (il Sabato ) , la seconda invece si faceva la Domenica mattina, la procesione , a differenza di adesso, si snodava per tutto il paese mentre oggi si snoda soltanto per alcune vie del paese (o almeno le più importanti) .
Purtroppo questa tradizione ormai è andata persa negli anni , ma ogni anno rimane sempre la forte devozione verso il nostro Santo Patrono, con la processione e i tre giorni di festa. Quest'anno i festeggiamenti sono stati svolti dal 27 al 29 Luglio 2013 si ringrazia ancora una volta il Comitato , perchè oltre al periodo di crisi , si è impegnato a portare avanti i festeggiamenti .
foto di Luigi Capone e Alessio Marenaci.
testo di Alessio Marenaci
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