Il fuoco della Fede che riscalda il Salento-Sant' Antonio Abate vita, storia e tradizione.

Il Santo più famoso e conosciuto per una tradizione ambientatata nel nostro lembo di terra è certamente SANT'ANTONIO ABATE per l'immensa montagna di fascine di vigna ovvero la nostra Focàra ,che ogni anno come tradizione tramandata da secoli, si rinnova  sotto nuove trasformazioni artistiche ,più conosciuta come la Montagna di Fuoco .
Ora ripercorriamo un pò di vita del santo,per poi proseguire con la storia di questa stupenda tradizione.
[1]Antonio abate è uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa. Nato a Coma, nel cuore dell'Egitto, intorno al 250, a vent'anni abbandonò ogni cosa per vivere dapprima in una plaga deserta e poi sulle rive del Mar Rosso, dove condusse vita anacoretica per più di 80 anni: morì, infatti, ultracentenario nel 356. Già in vita accorrevano da lui, attratti dalla fama di santità, pellegrini e bisognosi di tutto l'Oriente. Anche Costantino e i suoi figli ne cercarono il consiglio. La sua vicenda è raccontata da un discepolo, sant'Atanasio, che contribuì a farne conoscere l'esempio in tutta la Chiesa. Per due volte lasciò il suo romitaggio. La prima per confortare i cristiani di Alessandria perseguitati da Massimino Daia. La seconda, su invito di Atanasio, per esortarli alla fedeltà verso il Conciliio di Nicea. Nell'iconografia è raffigurato circondato da donne procaci (simbolo delle tentazioni) o animali domestici (come il maiale), di cui è popolare protettore.
In tutta Italia si è sparsa un pò la Tradizione di allestire dei Falò in onore di questo Santo ma uno fra i più caratteristici e tradizionale è quello di Novoli.

[2] La festa che la gente di Novoli tributa al loro Santo Protettore inizia il 7 gennaio, con il Novenario, per terminare il 18 gennaio, con la festa di tutti i cittadini (festa te li paisani). Giorni importanti della festa, però, sono il 16 ed il 17 gennaio, nei quali si svolgono tutte le manifestazioni e gli spettacoli che oramai sono balzati all’attenzione di tutta la Regione e di gran parte del Sud Italia e che richiamano migliaia di visitatori e pellegrini. Una festa, questa, che affonda le proprie radici nell’antica venerazione dei novolesi per il ” Santo del fuoco “, il cui culto fu ufficializzato, il 28 gennaio del 1664, quando il vescovo dell’epoca, Mons. Luigi Pappacoda, concesse l’assenso canonico alla supplica dell’Università e del clero e dichiarò S. Antonio Abate protettore di Novoli. Per la buona riuscita della manifestazione, ogni anno si costituisce un “comitato” per la festa, spesso confermando quello dell’anno precedente. Per “comitato festa” s’intende un gruppo di cittadini novolesi che si riuniscono spontaneamente, con il compito di raccogliere i mezzi in denaro o in natura per assicurare alla festa il miglior successo. In passato si usava chiedere ai cittadini, in prevalenza durante le domeniche, un obolo; si girava, perciò, cu lu cippu (salvadanaio), per le case del paese, chiedendo un’offerta in denaro da sfruttare per l’organizzazione della festa del Santo. Al “comitato” spettava anche il difficile compito della raccolta del necessario per la costruzione della focara, che spesso iniziava il 17 dicembre, esattamente un mese prima della attesissima festa. Si vedeva perciò, tra i vicoli del paese, il carretto, condotto da un ragazzo che giornalmente raccoglieva legna secca, rami d’alberi, tralci di vite legati in fasci, ma anche oggetti combustibili in disuso, rovinati o rotti ( tuttu è buenu pè la focara ) che piccoli contadini, grossi proprietari terrieri o semplici cittadini offrivano in devozione al Santo. Un importante documento parla di uno dei primi comitati, quello della festa del 1868, il quale non si formò spontaneamente, ma venne eletto dall’allora Amministrazione Comunale.La cultura popolare attribuisce a Sant’Antonio Abate la facoltà di proteggere tutti gli animali da stalla e da cortile. Il Santo, infatti, secondo la leggenda, fu un allevatore di suini. Nell’iconografia egli è rappresentato con accanto un porcellino e con in mano un bastone con un campanello, utile per richiamare gli animali. Anche questo rito è cambiato negli anni. Nei giorni di festa, negli anni ’40 del XX secolo, nel paese girava lu ‘ntunieddru (diminutivo dialettale di Antonio), un maialino con un fiocco rosso al collo che qualche devoto acquistava generalmente alla Fiera di Campi salentina, che girovagava indisturbato nel paese e tra le campagne, mangiando e facendo ciò che voleva. Lo stesso, successivamente, veniva sorteggiato durante la festa per finire sopra ad una tavola imbandita ( stessa cosa si faceva per S. Brizio a Calimera ).
Un’altra manifestazione importante era la distribuzione da parte del parroco dei “panini di S. Antonio”, la quale avveniva sul sagrato della chiesa. I panini, consegnati ai contadini e agli allevatori, venivano fatti mangiare agli animali malati, i quali, nella maggior parte dei casi, guarivano. La benedizione degli animali avviene, ogni anno, nel primo pomeriggio della Vigilia, prima della processione. Nel piazzale antistante la Chiesa sono molti i novolesi che portano i loro animali domestici (cani, gatti, uccelli, cavalli) per ricevere la protezione di Dio, ma soprattutto del Santo Patrono. La fine della benedizione è accompagnata da rintocchi di campane e fragorosi petardi a salve, segni questi che danno inizio alla processione del simulacro del santo, che si snoda tra le vie del paese. La statua è portata a spalla da devoti, i quali offrono somme abbastanza alte per avere questo onore, e dietro di essa si formano due ali interminabili di folla, che accompagnano il simulacro. Anche il rito della processione ha subito delle modifiche. In passato, infatti, migliaia di uomini e di donne percorrevano, forse per grazia ricevuta, l’intero percorso della processione scalzi e tenendo in mano dei grossi ceri, formando la lunghissima intorciata (‘nturciata). I “candelotti” avevano un peso di non meno di dieci libbre, anche se alcuni, particolarmente grandi, i sugghi, pesavano oltre cinquanta libbre. La processione continuava la mattina del 17 gennaio con la sola partecipazione dei forestieri che avevano fatto voto, i quali accompagnavano la statua del santo fino alla Chiesa Matrice, dove si teneva il panegirico. Durante questa processione veniva sparata la strascina, una lunghissima batteria che terminava con uno sparo più potente e fragoroso, il quale doveva coincidere con l’arrivo della statua in piazza Mercato, antistante la Chiesa Matrice. Oggi non viene effettuata più la fragorosa strascina, ma durante la processione vengono sparati dei colpi isolati con cadenza regolare. L’attuale processione si conclude con il ritorno del Santo in piazza S. Antonio Abate, salutato da artistiche bengalate e lancio di palloni di palloni aerostatici. Successivamente il Santo rientra nella sua Chiesa e viene riposto sul trono addobbato con vari drappeggi e cornici floreali. La fine della processione porta al momento culminante della festa, la focara, il simbolo più conosciuto della festa del fuoco che di anno in anno diventa sempre più famosa in Italia ed inizia e destare tanta curiosità anche nel resto del Mondo. Il 18 gennaio è la cosiddetta festa te li paesani, giorno in cui i novolesi, liberi dalla massa di visitatori e pellegrini, si godono gli ultimi momenti della festa. Così, tra le ultime visite alla focara, oramai quasi terminata, e un panino cu li turcinieddri, tra una bengalata in p.zza S. Antonio e i palloni aerostatici, la “festa del fuoco” si conclude tra la soddisfazione e i progetti per la festa dell’anno successivo. La prima focara, secondo alcune fonti, è attestata nel 1905, quando “una nevicata abbondante imbiancò il falò alla vigilia della festa”. Altre testimonianze nelle quali si fa riferimento al falò sono il 1912 (riportate dal D’Elia), il 1926 (riportate dal Bertacchi), il 1928 (riportate dallo Sbavaglia) ed il 1938 (riportate dal De Leo). La costruzione della focara inizia all’alba del 7 gennaio, anche se il “comitato” provvede all’organizzazione, alla raccolta e al trasporto dei fasci di vite già dall’inizio del mese di dicembre, per essere conclusa a mezzogiorno della Vigilia, momento, questo, salutato da una roboante salva di fuochi pirotecnici e da rintocchi di campane. Il falò è formato da fascine di tralci di vite (sarmente) recuperati dalla rimonta dei vigneti, le quali vengono accatastate con perfetta maestria e con tecniche tramandate gelosamente di generazione in generazione. In media per costruire un falò da venti metri circa di diametro per altrettanti di altezza occorrono dalle 80.000 alle 90.000 fascine ( ogni fascio è composto da circa duecento tralci di vite, i quali sono legati tradizionalmente con del filo di ferro ). La raccolta delle leune, termine con cui si indicano i fasci donati per la costruzione del falò, inizia, come abbiamo accennato, il 17 dicembre con il trasporto di queste sul piazzale dove deve essere costruita la focara. Fino agli anni ’50 del secolo scorso questo rito si consumava davanti al Santuario, poi è stato spostato in piazza G. Brunetti, per essere nuovamente trasferito, per motivi di sicurezza e forse definitivamente, in piazza T. Schipa. Anticamente l’enorme catasta di legna secca aveva quasi sempre la forma conica ed era costruita con particolari tecniche che solo i maestri (pignunai) potevano conoscere, le quali venivano usate anche quando si conservava il raccolto nei covoni. Altra antica usanza era quella di issare sulla cima del falò un ramo di arancio con diversi frutti pendenti ( la marangia te papa Peppu ), il quale era colto dal giardino di un prete del luogo. Con il passare del tempo sono cambiate molte abitudini, sono cambiati molti costruttori e soprattutto sono cambiate le forme della focara, la quale non si presenta più sotto forma di cono, ma assume sempre forme diverse e molto impegnative. Negli ultimi anni, infatti, sono state costruite focare piramidali, a torta (diversi strati circolari sovrapposti), con la galleria ( un tunnel nel centro del falò, in cui il giorno della processione passa anche la statua di S. Antonio Abate ), con oblò e pinnacoli. Per la costruzione di una focara occorrono 100 persone circa abbastanza abili per restare ore in piedi sui pioli delle lunghe scale e passarsi l’uno sull’altro al di sopra della testa i fasci, che poi giunti in cima vengono sistemati perfettamente dal costruttore. Proprio sulla cima, la mattina della Vigilia, viene issata un’artistica bandiera, sulla quale è un’immagine del santo, che successivamente brucia insieme al falò. L’onore dell’accensione del falò spetta al presidente del comitato o al Sindaco, anche se negli ultimi tempi molti sono gli ospiti ” illustri ” che presenziano la magica serata del 16 gennaio. L’accensione avviene attraverso una batteria – fiaccolata; una volta accesa, la focara arde per tutta la notte tra le migliaia di persone che, tra musica popolare e fumi di arrosti delle bancarelle presenti in piazza, assistono allo splendido spettacolo delle fasciddre, le caratteristiche faville che librano nell’aria creando una “pioggia di fuoco”. Il 17 gennaio, inoltre, tra i novolesi ricorre l’usanza di non ‘ncammarare, cioè pranzare a base di pesce,bisogna astenersi obbligatoriamente dal mangiare carni e latticini. I piatti tipici del giorno sono gnocchi in zuppa di baccalà o di pesce, scapece (pesce condito con zafferano, pangrattato e aceto), frutti di mare, pittule, purciddhruzzi e cartiddhrate, dolci delle festività natalizie, tutto accompagnato dal moscato o dal rosolio locale. Quest’anno sull’enorme pira di fuoco, sono stati issati giorni fa, enormi e grandi numeri, opera del maestro Ugo Nespolo.
Anche nel paese di San Cesario di Lecce si è diffuso il culto della benedizione degli Animali invocando questo Santo , è una tradizione giovane in paese , ma ogni anno  si rinnova   ovviamente sempre davanti alla Parrocchia di Sant' Antonio da Padova in via Saponaro.
Che Sant' Antonio Abate vi protegga a tutti.
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Cenni Bibliografici:
1. http://www.santiebeati.it/dettaglio/22300
2.Galatinablogolandia.it



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